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Si sedes non is

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Alcuni articoli del libro

Cento righe di tempo buttato

(Ovvero: non tutto il male viene per «cuocere»)

C’è gente che passa la vita a fasciarsi la testa, prima di essersela rotta.
Cosa intendo dire, con questo?
Intendo dire che un gran numero di persone affronta le situazioni, sempre, paventando il peggio. «Chissà come andrà a finire; se faccio questo chissà cosa mi succede; speriamo che vada tutto bene … anche se sono sicuro che andrà male; con la scalogna che mi ritrovo, senz’altro non riuscirò a concludere niente; ecc. ecc.».
– E allora cosa si deve fare; gli ottimisti a tutti i costi per poi piangere ancora di più se qualcosa non va per il verso giusto?
– No di certo; e tuttavia, un atteggiamento mentale equilibrato e positivo aiuta a stare al mondo, più di qualsiasi raccomandazione o «botta di culo».
Anche in questo caso, cosa intendo sostenere?
Intendo sostenere che le vicende della vita sono il risultato di una serie di situazioni, in parte non dipendenti dalla nostra volontà e in parte strettamente correlate alla nostra discrezionalità. Ergo, per la parte che non dipende da noi ci corre l’obbligo di tirare giù il testone e di adeguarci, ma per la parte che dipende da noi, tocca a noi essere adeguati.
Così, il conseguente atteggiamento mentale positivo che si attiva a fronte di questa scelta, ci aiuta a non farci prendere dall’apprensione, dalla tensione e ancora di più ci aiuta a capitalizzare il nostro impegno, la nostra dedizione e la nostra conoscenza specifica e a conseguire il risultato auspicato, nel modo migliore.
Conclusione troppo semplicistica?
Al solito, forse; di certo se uno sciatore dilettante affronta una discesa un po’ pericolosa con le braccia e le gambe già ingessate perché immagina o prevede di potere cadere e rompersi un arto, il meglio che gli possa capitare è di fratturarsi l’osso del collo e, in sovrappiù, di certo, resterà sempre un tremebondo dilettante. La via del professionismo gli è decisamente preclusa.
Alla stessa stregua, l’uomo che coltiva la naturale paura di affrontare le vicende della propria vita senza tentare di affrontarla senza protesi, puntelli o profilattici o annate di tentennamenti, potrà anche avere l’aspetto e l’età di un adulto ma, nella realtà resterà e si comporterà sempre come un bambino (con tutto il rispetto per ogni bambino, prossimo venturo).

    REALTA’ VIRTUALE

C’è gente che passa la vita a mettere in discussione e a criticare l’operato degli altri, e non ha mai trovato il coraggio di fare una propria scelta o di prendere una decisione che comportasse una qualche responsabilità.
C’è poi gente che crede di poter decidere e fare scelte, anche per altri, senza assumersi la responsabilità degli errori o dei fallimenti delle proprie decisioni.
C’è infine gente che da quando è nata sta alla finestra a guardare, sempre pronta a schierarsi dalla parte di chi vince.
Tutti gli altri (5%) sono Persone che agiscono con impegno, dedizione e conoscenza specifica; pagano per gli sbagli che fanno e sono consapevolmente gratificati dai risultati che conseguono; ma soprattutto non accusano mai alcun altro dei propri errori o delle proprie manchevolezze.
A grandi linee, in tutto il mondo è così; anche in Italia.
Per entrare ancor più nello specifico, tutta questa gente si suddivide in altre due grandi categorie; quella dei leaders e quella dei seguaci.
C’è poi una terza categoria che è quella dei seguaci che recitano la parte dei leaders, ma è una categoria talmente «precaria» che non vale nemmeno la pena di parlarne; anche se, a causa della varietà degli umani comportamenti e dei comuni vezzi è una delle categorie che combina i guai più grossi in ogni circostanza; normalmente, però, vive di situazioni contingenti e quindi non conta più di tanto.
Ma per tornare all’analisi generale, non è chi non veda come, in una situazione di questo tipo, pretendere che le vicende della umana specie possano essere organizzabili e prevedibili facilmente, sia per lo meno imprudente oltre che presuntuoso.
Se poi, alla conclamata imprevedibilità complessiva, aggiungete gli incidenti di percorso determinati dai paranoici o dagli schizofrenici o dagli psicotici o dai metereopatici, ci sarebbe proprio da mettersi le mani nei capelli e mandare tutto a quel paese.
Eppure, per fortuna, nonostante tutto questo, le vicende umane continuano ad evolversi e svilupparsi, nel bene e nel male, senza irrimediabili sconvolgimenti o discontinuità di conclusivo rilievo.
E allora, dov’è il trucco? Non lo so. Posso però proporre una mia intuizione che, in quanto gratuita, non è alla ricerca né di considerazione né di polemiche.
Secondo me, visto che alla base della sopravvivenza naturale c’è la selezione, la specializzazione e l’evoluzione, anche per le nuove vicende e umani comportamenti c’è un denominatore comune; esso è: ogni cosa che merita di vivere vive, ogni cosa che ruba vita alla vita, muore.
Come ogni assunto o teorema che si rispetti, anche questo necessita di spiegazioni e di approfondimenti.
Oppure, tanto per continuare nella serie degli esperimenti e delle provocazioni, si potrebbe optare per una soluzione diversa; e cioè lasciare che ognuno di quanti hanno avuto tempo da buttare per leggere fin qui, decida, al meglio del proprio modo di sentirsi un leader o un seguace e ne tragga le conclusioni che crede.
E che il pensiero gli sia amico.

Aspettando la Nuova Era

Ho scelto di stare da solo, in cima ad una montagna a contemplare le mille altre cime attorno, dove mille «aspettano»:come me.
Appena più sotto, circolano piccole storie di improbabili fughe dalla realtà, mascherate a festa da vuote enunciazioni di gloria e di successo; grappoli incerati di melensi sorrisi a denti stretti, vuoti di scintille di calore o sprazzi di fiducia.
Moderni zombi gonfi di rabbia di vane recriminazioni barattano l’essere con l’avere, il contenuto con la forma, la realtà con le fantasticherie.
Professare la dignità come morale davanti al mondo e non sopportare di guardarsi allo specchio senza sforzarsi per niente di cambiare.
Quale tragedia per lo Spirito!
Così si arriva a giocare con le storie degli altri per tentare di colmare il vuoto della propria angoscia tirata a lucido con atteggiamenti e chiusure di cartapesta riciclate.
E tutti gli altri sono bestie, pecore da tosare, processionarie da condurre in tondo a girare e girare, con qualche pausa ad effetto ogni tanto, all’ora del tè o dell’aperitivo al lievito di birra.
L’ombra del dubbio e della paura gettati, quasi per caso, nelle menti dei più sprovveduti, per vederli strisciare e poi dargli una mano per tirarli su, che si possano metter in ginocchio.
Non mi riesce di accettare di condividere un gioco che ha preso a girarmi intorno con occhi ripieni di finta compassione e di falso ottimismo.
Quindi, per questo giro, a questo tavolo, passo la mano, con la speranza che la mia scelta porti agli zombi arrabbiati, un qualche momento di sospirata «regalità».
E in cima alla montagna che mi sono scelto, penso con amore a un altro tavolo e alla prossima rimpatriata con i compagni rimasti a valle, a un gioco più nuovo, corretto e pulito che lasci, alla fine, la bocca dolce e l’occhio ripieno dei nuovi colori, scoperti nel cielo.
Di certo la Nuova Era verrà: quello che non è altrettanto certo è quanti resteremo ad accoglierla.
Se voi state bene, io sto bene!

* * *

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