copertina Mare Nostrum

MARE NOSTRUM – in viaggio verso l’isola che non c’è

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PREFAZIONE del dott. Vartan Giacomelli

MARE NOSTRUM, la nuova “fatica” di Patrizia Serblin e Carlo Spillare, non è solo una raccolta di scritti che sintetizza anni di quotidiano lavoro degli autori. Leggendolo, con quella familiarità che il loro modo di scrivere suscita, se ne trae l’impressione di fare un pezzo di strada con due amici, la cui consuetudine a coinvolgerti nelle loro esperienze fa sentire, chi si dispone ad accogliere il loro dono, tra quei “fortunati e privilegiati”, quali essi si considerano in questa ormai lunga avventura di conoscenza e formazione. Il libro, impreziosito da un’appendice di articoli di Marcello Bonazzola, ci propone un tuffo, libero e originale, in uno spazio (mare?) di sensazioni, riflessioni e, soprattutto, esperienze condivise in cui i frammenti di realtà, pagina dopo pagina, si compongono in un quadro, ove ognuno può ritrovare proprie emozioni, intuizioni già vissute e raccogliere stimoli per aprire con “coraggio ed amicizia” la mente al cuore.

DSC_0065Ricerchiamo spesso suggestioni di felicità e pienezza nella speranza di superare le nostre paure e fragilità; la strada che percorrono Patrizia e Carlo, e che ci invitano a seguire, non è una fuga dal reale, ma ricerca di (buon) senso e libertà autentica; è un cammino che riporta continuamente all’ “esserci” che è in ogni persona, ad una confidenza con gli spazi di creatività cui possiamo attingere dentro di noi e che non sono preclusi a nessuno.

Mi sovviene una frase di Papa Montini: “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni dei maestri o se ascolta i maestri lo fa  perchè sono anche testimoni”. Le pagine di questo libro sono continuamente vivificate  da questo spirito: nessuna lezione di vita, nè, tantomeno, accattivanti consigli ansiolitici, piuttosto lo sforzo amorevole di comunicare la propria esperienza e capacità di affrontare, con la fatica e l’onestà che tutto ciò richiede, l’arduo cammino della consapevolezza.

                                                                                                            Vartan Giacomelli                   

Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Padova

due brani del libro

Bambini
Il futuro del nostro pianeta!

I loro volti sereni e sorridenti indicano all’Uomo la strada della Felicità.
C’è saggezza nei loro sguardi, una saggezza che viene da molto lontano eppure così vicina. Ancora capaci di essere nella “terra di mezzo” tra il cielo e la terra, con radici e rami che si radicano e svettano nella contemporaneità dell’attimo presente.
Così profondi nel loro silenzio blu che si abbandona con fiduciosa speranza e serenità, così radiosi e dinamici nel loro essere attivamente partecipi in un giallo luminoso e sprizzante gioia.
E allora uniamoci a Gaber come recita in una sua canzone:

Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l’unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un’antica speranza.
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.

                                                           Patrizia Serblin

giovanni

Starò bene quando…

Quando avrò sistemato la mia situazione economica e non dovrò più pensare alla mia autosufficienza, finalmente starò bene.
Quando avrò risolto i problemi che mi assillano al lavoro, starò bene.
Quando riuscirò ad andare d’accordo con mia moglie, o mio marito, starò bene.
Quando i miei figli saranno sistemati, starò bene.
Quando avrò realizzato il progetto che mi sta così a cuore, starò bene.
Quando avrò vinto quella gara importante, nel mio sport, starò bene.
Mi aveva molto colpito, nella preparazione di Si sedes non is, un particolare titolo di Marcello Bonazzola: “Dacci oggi il nostro problema quotidiano”. Il contenuto dell’articolo, poi, rispecchiava fedelmente la provocazione inserita nel titolo, laddove l’autore faceva presente che non esiste soddisfazione, successo, risultato, traguardo, conquista immune da problemi e che senza ostacoli nessuna persona potrebbe mai arrivare a gustare consapevolmente la felicità insita in ogni cosa “ben fatta”.
Mi chiedo: E se la meta “ultima” di un essere umano fosse quella di imparare a vivere, non è che i problemi che ci capitano nella quotidianità potrebbero essere visti come “ostacoli” naturali verso il raggiungimento di quella meta, Vivere, che può essere raggiunta solo attraverso la pratica fisica e mentale?
Ha senso, quindi, pensarsi in termini di “starò bene quando…” nel momento in cui ci si rende conto che non si finisce mai, definitivamente, di imparare a vivere? Anche perché, a seguire i pensieri di apertura, si dovrebbe allora concludere con “quando sarò morto, starò bene”. E non è detto, mi dice il mio amico “laterale”, che anche questa conclusione sia definitiva, perché uno degli scherzetti che l’Architetto potrebbe averci “apprestato” potrebbe essere che esista veramente una vita “di là”; e se così fosse, ci troveremmo costantemente a dover superare dei problemi anche “dopo”, se è vero, come è vero, che non esiste qualcosa “a gratis” e che per ogni conquista, realizzazione, consapevolezza ecc. c’è sempre un prezzo da pagare.
In ultima analisi, forse, si potrebbe prendere in considerazione un punto di riferimento diverso, ai fini del proprio stare bene. Il fatto di “esserci”, che mi permette di vedere, assaporare, muovermi, respirare, parlare, ascoltare, conoscere, non potrebbe già essere sufficiente per farmi sentire bene? Troppo riduttivo e semplicistico? Troppo “etereo” e ingenuo, fuori dal mondo attuale?
Può darsi. E’ però anche vero che l’ “esserci” è presente pure nella Daseinanalyse di Binswanger, che tanto ha attinto dalla fenomenologia, che si interessa prima di tutto dell’ “essere” che va verso le cose e verso il mondo, che si rifiuta di spiegare la vita soggettiva, e che è interessata a comprendere l’ “esserci” di ogni soggetto. Nell’opera di Binswanger viene ad assumere un posto centralissimo il “modo di essere nell’amore” (in contrapposizione a quello della “preoccupazione”), che può essere condiviso grazie alla stima reciproca fra le persone che sono tese a sviluppare un unico progetto, costruito dal loro sforzo congiunto e che anche appartiene a ciascuno di loro.
Certo, mi sono intrufolato nella Scienza, che è materia che mi fa sempre crescere una discreta “ forfora”; e ci sono andato per sapere, capire, conoscere e ritornare con la “meraviglia” che quello che da più di 30 anni viene fatto con la radice di Dinamica Mentale Base ha un ulteriore radice in un’idea che trova la sua validità dall’essere proposta, nel Villaggio Globale, vuoi in chiave intuitiva, vuoi in chiave scientifica, da chi ha a cuore l’ “esserci” che è in ogni persona (per non parlare di tutte le altre forme di vita).
Una precisazione: uso il termine “idea”, nel significato che era stato introdotto da Platone, quale quello di un’entità perfetta e immutabile, di carattere divino, e con esistenza propria, quindi non generata dall’intelletto. Secondo tale concetto di idea, tutto ciò che appartiene al mondo delle cose sensibili è un tentativo di imitazione delle idee, immutabili, eterne e perfette (corrispondenti al Vero Essere). Le idee, secondo Platone, vivono in un mondo a parte,
detto Mondo delle Idee o Iperuranio ed esistono indipendentemente dall’essere pensate, mentre invece nel prevalente concetto di idea, esse esistono se e quando le pensiamo noi.
Comunque, e per tornare alle nostre cose, noi, artigiani della mente e del comportamento, un occhio all’avere lo teniamo pure ben aperto, e francamente non ci vedo nulla di male, tanto è vero che un progetto che l’ I.S.I. ha iniziato a proporre ai soci è quello di “Assertività Laterale”, e che oggetto di studio per i soci, è il Decaloper sia “Pragmatico” che “Ideale”.
E allora, che fare?
Sono andato a rispolverare il mio archivio e mi sono trovato tra le mani un articolo di Ma.Bo, di cui presento uno stralcio:
“A mio parere, sia l’Essere che l’Avere presuppongono una precisa “capacità”: l’Onestà.
Perché chiamo l’Onestà, una capacità? Perché secondo me, la Vera Onestà, si può solo imparare. E di persone che confondono questa capacità con tutto fuorché con quello che essa veramente è ce n’è almeno una più di mille.
Essere onesti vuol dire essere in grado di darsi un valore; vuol dire sapere e riconoscere che in buona parte altri hanno contribuito a formarlo; vuol dire professare coerentemente la dura disciplina della riconoscenza.
Credo comunque di sapere qual è la molla che può spingere determinati individui al rifiuto della riconoscenza; Il fatto è che l’Onesto, di riconoscenza non ne vuole, ma invita a darne il corrispettivo ad altri che ne abbiano o credano di averne bisogno;
Questo può essere veramente tragico per chi vive di bisogni di riconoscimenti e di gratificazioni;
Gli toglie il succhiotto della mamma e il giocattolo del bambino; gli toglie i baffi del papà e le coccole dell’amica/o.
E non è tutto; non gli permette di contare balle e di inventare delusioni e giustificazioni di lana caprina”.
Leggendo l’articolo, ben datato (anche se non fino a … Platone), ho avuto un sobbalzo, mi sono ritrovato “giovane” di belle speranze e di “sentite” convinzioni e mi sono rivisto in alcuni passaggi della mia vita fino ad oggi; e mi è pure venuta in mente la conclusione per questo “starò bene quando …”, che è:
Vuoi vedere che per stare bene è necessario riconciliarsi con la riconoscenza e metterla in pratica con Vera Onestà?  

                                                                                                                                                  Carlo Spillare

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